A Palermo il giorno della commemorazione dei defunti, detto la festa dei Morti, è particolarmente sentito, soprattutto dai bambini che ricevono dolciumi e regali. Ancora oggi si usa fare u cannistru (il canestro), pieno di biscotti tipici di questa festa come gli ossi ri mortu (dolcetti di farina e zucchero aromatizzati con chiodi di garofano e cannella e dalla forma simile alle ossa umane) e i tetù o misto siciliano, castagne, scaccio (frutta secca), dolci di martorana, cioccolata e giocattoli. Non può mancare la pupaccena, un pupazzo di zucchero e dipinto a mano con sembianze umane.
[…] le mamme vanno in punta di piedi a mettere dolci e giocattoli nelle piccole scarpe dei loro bimbi, e questi sognano lunghe file di fantasmi bianchi carichi di regali lucenti, e le ragazze provano sorridendo dinanzi allo specchio gli orecchini o lo spillone che il fidanzato ha mandato in dono per i morti […]
G. Verga – La Festa dei morti – Vagabondaggio (1887)
Si narra che nella notte tra l’1 e il novembre, i morti si risvegliano e vagano per la città prendendo dolciumi e giocattoli per i bambini a loro cari che sono stati bravi e hanno pregato per loro. I bambini, quindi, prima di andare a letto, mettono un canestro sotto il letto che i morti, nottetempo, riempiranno con i regali e nasconderanno da qualche parte in casa. Al risveglio i bambini, festanti, dovranno cercare i doni nascosti in giro per casa. A coloro che non sono stati buoni, invece, i morti verranno a grattugiare i piedi, per questo motivo si nascondono le grattugie in modo che i morti non le trovino.
Armi santi, armi santi, io sugnu unu e vuatri síti tanti:
mentri sugnu ‘ntra stu munnu di guai
cosi di morti mittitimìnni assai.
Anime sante, Anime sante,
io sono uno e voi siente tante,
mentre sono in questo mondo di guai,
cose dei morti mettetemene assai.
Piatto tipico di questo giorno sono le favi a cunigghiu (fave a coniglio), dette in alcune zone anche favi’n quasuni; esse sono cucinate secondo il rito romano della Lemuria, in cui, a parte che mangiate, le fave nere, nel cui seme, secondo leggenda, si trovavano le lacrime dei trapassati, venivano lanciate a terra dal padre di famiglia per allontanare le anime dei defunti; De Gubernatis narra di questo rito funebre in Storia Popolare.
L’uso delle fave si faceva anche a Palermo al XVIII sec., che però prediligeva e predilige tuttora muffulette schiette o maritate, pane morbido e tondo ripieno, e murtidda nivura e bianca (mirto nero e bianco). In alcune parti della Sicilia, si è soliti accompagnare le fave alle armuzzi, pane antropomorfo raffigurante fino al tronco le anime del purgatorio con le mani incrociate sul petto. L’usanza di cibarsi di pietanze a forma di uomo, o a parti di esso, risale anch’essa ai tempi dei romani, che a loro volta, si cibavano delle maniae, pani fatti a somiglianza del dio del bosco, come rito di propiziazione per la divinità.
In questo giorno di commemorazione, a Palermo, si va al cimitero per fare visita ai parenti defunti e, fino a qualche decennio fà, molti restavano tutto il giorno sulla tomba del defunto, portandosi dietro anche il pranzo al sacco.
Altra tipica usanza di questa festa è visitare le Catacombe dei Cappuccini, un cimitero sotterraneo del XVI secolo dove si possono vedere ancora le mummie che vi sono state sepolte.
Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.
(da Racconti quotidiani di Andrea Camilleri) – tratto da “Qua e là per l’Italia” – Alma Edizione, Firenze, 2008